Storie di Confine

Retequattro, dal 26 dicembre 2009, ogni sabato, in seconda serata

Un programma realizzato da Videonews in collaborazione con Retequattro e Mediafriends in onda su Retequattro dal 26 dicembre 2009.

Con il nuovo ciclo di Storie di confine - reportage prodotti da Videonews (testata diretta da Claudio Brachino), realizzati in collaborazione con Retequattro e Mediafriends, che raccontano storie di dolore e di speranza in Nicaragua, Vietnam, Colombia, Nepal, Bolivia, Camerun, Albania e India - la rete diretta da Giuseppe Feyles torna ad accendere i riflettori sulla vita all'interno di alcune delle realtà più degradate del Terzo Mondo e sui progetti di aiuto e sostegno alle popolazioni bisognose, sostenute e promosse dalla Onlus creata da Mediaset, Medusa e Mondadori.

Si tratta di sei appuntamenti in onda dal prossimo 26 dicembre 2009, in seconda serata (con replica alla domenica mattina, prima della Santa Messa), dove vengono raccontate storie al limite dalle regioni più calde del globo, talvolta sconosciute alla maggior parte del mondo Occidentale .

Degrado, violenza minorile e povertà sono solo alcuni dei temi trattati. Dalle guerre tra bande minorili del Nicaragua alla ferita mai sanata del Vietnam, dai narcos ai desplacados della Colombia sino alla difficile ricostruzione di intere regioni dell?India dopo lo tsunami del 2004, Storie di Confine è un viaggio di denuncia alla ricerca della felicità nei luoghi più problematici del Pianeta.

Scenari straziati dove lavorano costantemente -con passione e dedizione- Onlus e associazioni Non Profit che hanno fatto della carità verso il prossimo una ragione di vita.

Uomini e donne che operano, ogni giorno e senza clamore, per aiutare i più bisognosi -siano essi adulti o bambini- colpevoli soltanto, nella maggior parte dei casi, di essere nati in quelle terre di confine.

Storie di confine è un programma Videonews, testata diretta da Claudio Brachino. A cura di Mimmo Lombezzi. Produzione esecutiva di Rossana Mandressi.

Nicaragua - La guerra delle pandillas
di
Mimmo Lombezzi
(sabato, 26 dicembre 2009 - ore 00.30 e domenica, 27 dicembre 2009 - ore 09.30)

Le scarpe da tennis sono i mobiles del paesaggio urbano nicaraguense. Appese ai cavi della luce, all'ingresso di un quartiere o a un incrocio, oscillano al vento, come rondini pronte ad alzarsi in volo. Sembra un gioco da ragazzi, invece è un messaggio in codice che marca confini invisibili ma perentori come frontiere militari. Se le vedete pendere sulla vostra testa, vi conviene alzare i tacchi. Le scarpe, infatti, sono trofei e marcano il territorio di una pandilla, cioè di una banda di quartiere.
Al mercato orientale di Managua, il territorio delle pandillas inizia con un budello chiamato Callecòn de la Muerte, il vicolo della morte. Ci si arriva attraverso un arcipelago di banchi di frutta e verdura, percorso a tutta velocità da minorenni che corrono come forsennati sotto il peso di giganteschi canestri di banane e manghi.
Gli scontri fra pandillas diventano spesso vere e proprie guerre, in cui spesso e volentieri si comincia col machete per finire con le pistole oppure con il morterazo, un tubo munito di grilletto e percussore, che, in pace, si usa per sparar petardi a Carnevale e, nelle guerre per bande, consente di esplodere in faccia agli avversari vampate di schegge di ferro o di pietre. E' quello che avviene nel quartiere più pericoloso di Managua.
E' su ragazzi come loro, ma molto più giovani, che lavora l'Ong Terre des hommes per recuperali, prima che diventino dei pandilleros a tempo pieno. "I nostri educatori di strada"  racconta Giori Terrazzi, il responsabile di Tdh in Nicaragua  "li vanno a cercare dove vivono, come il Callecon de la Muerte; li avvicinano, a volte facendo i giocolieri, gli procurano cibo e vestiti. Cerchiamo di fargli sentire che per qualcuno hanno ancora un valore come esseri umani".
"Lavorando in diverse zone di Managua" racconta Roberto Moreno, un educatore di strada che collabora con Terrazzi "ne ho visti morire almeno dodici: investiti, pugnalati, sparati, uccisi a colpi di machete, avvelenati, intossicati. E spesso abbiamo dovuto andare a prenderli alla morgue per dar loro una sepoltura cristiana, perché, in quel momento, non avevano né padre né madre che potessero dar loro una sepoltura dignitosa e siamo noi, gli educatori, noi che lavoriamo sulla strada, che spesso gli diamo l'ultimo addio".
I corsi professionali, organizzati da Tdh con il sostegno di Mediafriends, servono a offrire ai ragazzi del mercato Mayoreo la speranza di non dover fare i facchini per tutta la vita, ma funzionano anche come servizi sociali per chi ha avuto problemi con la giustizia.


Vietnam - Ritorno ad Apocalypse Now
di
Mimmo Lombezzi
(sabato, 26 dicembre 2009 - ore 00.30 e domenica, 27 dicembre 2009 - ore 09.30)

Meridiani e paralleli sono concetti astratti, entità invisibili, ma, in Vietnam, il Diciassettesimo parallelo, il confine politico e militare che avrebbe dovuto dividere il Vietnam del Nord, comunista da quello del Sud, neocolonialista e americano, è una linea concreta, tangibile. Una linea segnata, da milioni di tombe, da centinaia di cimiteri.
Dozzine di film e di libri hanno celebrato per 40 anni l'epopea dei Mia, i Missing in Action americani, costruendo una gigantesca sineddoche che ha offuscato - anche per l'isolamento del Vietnam dopo il '75 - la tragedia dei Missing in Action vietnamiti.
La tragedia di quelli americani venne deliberatamente gonfiata da Nixon e Kissinger per ottenere dal congresso 4 miliardi di dollari in più e prolungare la guerra. Un gruppo bellicista chiamato Victory in Vietnam Association (Viva), scrive Mickey Z (Pows: Then and Now, 29 April 2003, Counterpounch), organizzò una campagna per vendere bracciali con incisi i nomi dei prigionieri e dei Mia per tenere sveglia l?attenzione americana.
Prima della fine della guerra più di 10.000.000 di americani portava il bracciale, incluse celebrità da Johnny Carson a Sonny and Cher, allo stesso Nixon. Salvatori di prigionieri come Rambo e Chuck Norris chiedevano vendetta non solo contro il Vietnam, ma anche contro il governo americano accusato di inazione. L'effetto collaterale di questa campagna mediatica fu che sino al 1991, il 69% degli Americani era convinto che ci fossero ancora prigionieri di guerra in Vietnam e il 52% pensava che il governo non avesse fatto abbastanza per riportare a casa i ragazzi.
Se i Mia americani arrivarono a stento a 3000 unità, pochi sanno che quelli vietnamiti sono 400.000. Uccisi dalle incursioni a tappeto dei B52, squartati dalle bombe a grappolo o polverizzati da ordigni capaci di cancellare in un colpo un intero villaggio. 400.000 scomparsi, sono una cifra così enorme che per identificarli, 40 anni dopo, non si usa la tecnologia del Dna, ma il potere del medium, che nella maggior parte dei casi indirizza le ricerche dei parenti per telefono. "Paradossalmente" scriveva Terzani "la Guerra del Vietnam ha fatto più male all'America che al Vietnam", perchè My Lai e altri massacri hanno contaminato l'immagine del paese che aveva esportato la democrazia in Europa, distruggendo il Fascismo.
Questo spiega perché il Vietnam a differenza di tutte le altre guerre sia diventato un "ossessione" (non solo per gli Americani) e abbia in qualche modo collaudato il "format" delle guerre del terzo Millennio, che sembrano riprodurre tutte la tessa formula: armi di distruzione di massa, disinformazione, tortura in appalto e violenze sui civili (da tutte le parti).


Colombia
di
Sandra Magliani
(sabato, 2 gennaio 2010 - ore 00.30 e domenica, 3 gennaio 2010 - ore 09.30)

Colombia: da 50 anni, un paese in guerra. Guerra a bassa intensità, ma così insidiosa da rendere le strade interne impraticabili e la vita dei colombiani impossibile.
Formazioni rivoluzionarie comuniste come le Farc e l'Eln si contendono il controllo del territorio, soprattutto delle sterminate coltivazioni di coca, con i paramilitari assoldati da latifondisti e narcos e con l'esercito più potente del Sudamerica.
Rapimenti a scopo d'estorsione e omicidi di cittadini comuni (sindacalisti, giornalisti, magistrati, semplici contadini) sono all'ordine del giorno. La cocaina continua a essere il business del paese, che detiene l'80% della produzione e del traffico mondiale.
Chiunque si trovi su un terreno che interessa ai narcos viene minacciato di morte e costretto alla fuga: per questo il paese detiene un altro triste record (secondo solo al Sudan), quello dei cosiddetti desplacados, gli sfollati che si ammassano ai margini delle grandi città dopo aver perso tutto.
In questo contesto l'Ospedale San Raffaele con i fondi raccolti in Italia da Mediafriends ha realizzato il progetto di una nave ospedale, attrezzata con ambulatori specialistici e persino una sala operatoria, per portare assistenza a popolazioni disagiate, tagliate fuori dal resto del mondo.
La nave ospedale risale il fiume dall'Oceano pacifico toccando villaggi che non hanno altre vie di comunicazione. Con i medici abbiamo assistito all'inaugurazione degli ambulatori da parte del presidente Uribe e poi al viaggio della speranza, alle visite dei pazienti, soprattutto donne e bambini, registrando emozioni e toccando con mano l'importanza della missione.


Nepal - Il paradiso in bilico
di
Mimmo Lombezzi
(sabato, 2 gennaio 2010 - ore 00.30 e domenica, 3 gennaio 2010 - ore 09.30)

Oggi, quello che 15 anni fa era uno dei paesi più pacifici del mondo, il Nepal, è una nazione allo stallo. Una coalizione di 22 partiti guidata dai comunisti fronteggia un'opposizione maoista, fortissima in parlamento, e ancora più forte in piazza. E la popolazione, ne soffre le tante contraddizioni e le infinite difficoltà.
L'isolamento, spiega anche la persistenza di certe tradizioni. Come rinchiudere la moglie in un pollaio almeno 5 giorni al mese. A Tatapani, nel distretto di Suket, dove vivono i Dalit, cioè gli "intoccabili", è possibile. Entrare nel villaggio è fare un salto indietro di secoli. Qui vice ancora il "Chaupadi", cioè l'obbligo per le donne di star fuori casa durante i giorni del ciclo. La scatola dove passano da 5 a 7 giorni al mese-talora in condominio con le capre-dista solo pochi metri dalle case vere e proprie, ma la barriera psicologica e fisica è invalicabile. La ciotola del cibo viene lasciata dai parenti a pochi metri dalle donne in modo da non avere alcun contatto fisico con loro. Una donna che si chiama Mina e ha 37 anni si è ribellata, ma solo perché ha avuto l'appoggio del marito, mentre il 90% delle altre preferisce piegarsi. Contro la pratica della segregazione si batte Save the Children che lavora con una rete di scuole per contrastare la pressione delle famiglie e degli anziani.
La rigidità di queste tradizioni si riflette anche nella piramide delle caste, che spesso maschera un sistema di sfruttamento di tipo feudale. Nel distretto di Kanchapur, Storie di Confine ha incontrato alcuni dei 100.000 kamaya (schiavi), liberati pochi anni fa da una legge del parlamento. La loro storia sembra uscita dai testi di Marx: alcuni hanno passato quasi mezzo secolo a lavorare per i latifondisti per riscattare debiti ridicoli contratti dai padri o dai nonni, quando vennero espropriati delle loro terre. Recentemente, ai più fortunati infatti (circa 4000), è stato assegnato un campo coltivabile, ma moltissimi sono stati semplicemente sbattuti fuori dai latifondi senza mezzi di sussistenza, mentre il 30% ha ricevuto dal governo terre improduttive o esposte alle inondazioni.
Un altro problema di cui soffre un paese in cui un terzo della popolazione vive sotto al livello della povertà, è quello dell?acqua potabile e dell'igiene. Con i fondi raccolti in Italia da Mediafriends, Save the Children ha proceduto all?istallazione di bagni e serbatoi d'acqua in un migliaio di scuole, promuovendo anche programmi radiofonici gestiti dagli studenti, che diffondono informazioni di base per contrastare sul nascere epidemie di diarrea e di colera.
Fra i profughi di un villaggio spazzato dalla piena, Storie di confine scopre una bambina di un anno e mezzo, febbricitante. Portata immediatamente all'ospedale dalla squadra di Save the Children, si scoprirà che si trattava di febbre tifoidea e malaria e che se fosse rimasta all'addiaccio avrebbe rischiato di morire. Talora la tv serve a qualcosa?


Bolivia
di
Sandra Magliani
(sabato, 9 gennaio 2010 - ore 00.30 e domenica, 10 gennaio 2010 - ore 09.30)

La Bolivia è uno dei paesi più poveri del Sudamerica, saccheggiato per secoli delle sue preziose materie prime (oro, argento, stagno e petrolio, gas naturale), prima dai conquistadores spagnoli poi dalle multinazionali americane, complice un'oligarchia locale che non ha permesso la benché minima penetrazione di ricchezza o benessere verso il basso.
Ancor oggi i minatori vivono in condizioni spaventose e generalmente arretrate come tutte le popolazioni di Indios che vivono sul grande altopiano e nei villaggi in quota della cordigliera andina.
Tradizioni ancestrali, musiche, feste, riti sciamanici creano un ponte con le imponenti cime, considerate dei o antenati che governano dall'alto le vicende umane, regolando la vita delle comunità.
Nel rispetto di questa cultura, l'Ong Acra, finanziata da Mediafriends, ha realizzato una rete di acquedotti per portare acqua corrente a diversi villaggi di pastori e contadini.
Con l'acqua, le condizioni di salute sono migliorate (sparite malattie, soprattutto infantili, come la gastroenterite) e l'agricoltura ha avuto tutti i vantaggi derivanti da un'irrigazione regolata (vuol dire tre raccolti di patate all'anno, anziché uno, e vuol dire - nelle zone più tropicali - coltivazioni di caffè di alta qualità, esportabile all'estero).


Camerun - Cuor di leone
di
Mimmo Lombezzi
(sabato, 16 gennaio 2010 - ore 00.30 e domenica, 17 gennaio 2010 - ore 09.30)

Un paese lussureggiante dove cresce di tutto: caffè, cacao, caucciù banane, manghi, etc. Un paese in testa all'hit-parade della corruzione anche perché da 30 anni è governato dallo stesso uomo. Un paese che nel 2008 ha "domato" una dimostrazione contro il "caro vita" facendo uccidere dalla polizia 140 dimostranti. Il Camerun è il paese dei leoni. Non esistono più nella foresta, ma sul campo di calcio. I "Leoni Indomabili" sono fra le squadre più forti mondo. Se però volete filmare la statua di Selo, il calciatore del Milan che in Camerun è un eroe nazionale, dovete raggiungere uno dei peggiori quartieri di Duala e chiedere il permesso alla "Local Mafia" - Tre improbabili "scultori" alti due metri, si contendono la paternità dell'opera (di cemento), agitando mani che sembrano più abituate a maneggiare il coltello o la pistola che non gli scalpelli. Qui impera la "justice populaire".
Il Camerun è un paese che in un futuro assai prossimo potrebbe arricchirsi col petrolio scoperto nella penisola di Bacassi al confine con la Nigeria - una risorsa che ha portato i due stati sull'orlo della guerra - ma oggi è ancora un paese molto povero. 
Questo spiega la scelta di Mediafriends di sostenere, con i fondi raccolti in Italia, i progetti della fondazione Aiutare i bambini.
Il primo è la costruzione di un sistema di distribuzione dell'acqua nei distretti di Masoh e Kumbo.
Il secondo è la realizzazione di un impianto di potabilizzazione e l'istallazione di un generatore di elettricità presso il centro cardiologico di Shissong, inaugurato nell?ottobre del 2009 su iniziativa delle suore Francescane di Bressanone (che nel 1936 costruirono un dispensario evolutosi fino ad essere riconosciuto come ospedale dal Governo), dell'Associazione Cuore Fratello, del Policlinico San Donato e dell'Associazione Bambini Cardiopatici nel Mondo.
In Camerun infatti, come in altri stati africani, i bambini che vivono con cardiopatie correggibili hanno poche chance di sopravvivere, anche perché nel paese c'è solo un cardiologo per ogni milione di abitanti e, sino all'ottobre del 2009, non esisteva neppure un centro di cardiochirurgia. L'odissea delle madri di bambini cardiopatici negli ospedali del Camerun - fra le diagnosi sbagliate, le attese burocratiche, la mancanza di strutture e l?impossibilità di far operare i figli all'estero - registrata dai microfoni di Storie di Confine, meriterebbe da sola uno speciale. "Ho giurato che mio figlio non sarebbe morto!", dice una di loro e lo sguardo con cui pronuncia questa frase basterebbe da solo a giustificare lo sforzo e il progetto.


India
di
Alfredo Macchi
(sabato, 23 gennaio 2010 - ore 00.30 e domenica, 24 gennaio 2010 - ore 09.30)

Il reportage (realizzato da Alfredo Macchi con l'operatore Andrea Bovina) documenta, cinque anni dopo la ricostruzione, il ritorno alla vita di una regione poverissima dell'India, quella del Tamil Nadu.
Storie di Confine, compie un viaggio nello stato del Sud dell'India le cui coste furono devastate dallo Tsunami del 26 dicembre 2004 (che in quest'area distrusse decine di villaggi e causò oltre 10 mila morti), raccontando le storie di chi oggi vive nei nuovi villaggi costruiti con gli aiuti internazionali, ma anche di quanti hanno scelto di restare tra le rovine e quanti sono rimasti esclusi dagli aiuti.
L'impegno dell'Italia, tra le varie opere, ha visto la riedificazione dell'intero villaggio di Poompuhar, dove vivono 68 famiglie della minoranza Dalit. Un progetto realizzato grazie all'associazione Cesvi, con i fondi raccolti dai telespettatori del Tg4 e da Mediafriends.
3 mila bambini vengono attualmente assistiti in 6 centri per la prima infanzia e in tre Case del sorriso, a Thiruvallur, Cuddalore, Nagapattinam, dove trovano rifugio gli orfani di quella tragedia e i bambini in condizioni difficili. Tra i piccoli accolti in queste strutture ci sono anche quelli strappati alla schiavitù delle fabbriche o vittime di violenze.
Le loro storie sono raccontate attraverso l'impegno di Bimla Chandrasekar che, tramite l'associazione Ekta, sostiene le vedove costrette a pescare i gamberi immerse nelle lagune tutto il giorno; le donne fuggite da mariti violenti e le bambine vittime di abusi sessuali.
E il difficile lavoro di Susai Raj, fondatore dell'associazione Jeeva Jothy, che si occupa di dare un futuro ai bambini che vivono nella discarica di Madras o quelli costretti a lavorare nelle fabbriche di mattoni e di riso.
Le telecamere sono entrate in queste fabbriche dove intere famiglie vivono in condizioni di schiavitù. Infine si documenta l'attività dell'Associazione Don Bosco che, con le sue scuole professionali, restituisce la speranza a tanti ragazzi poverissimi.


Albania
di
Stella Pende
(sabato, 30 gennaio 2010 - ore 00.30 e domenica, 31 gennaio 2010 - ore 09.30)

Nel reportage si documenta come il finanziamento di Mediafriends abbia permesso a Save the Children di realizzare un progetto di istruzione di base di qualità all'interno del sistema educativo albanese.
Grazie a questa opportunità, gli alunni delle scuole hanno potuto accedere ad un insegnamento più significativo, partecipativo e piacevole, con programmi di formazione sul posto di lavoro per gli insegnanti e con il sostegno materiale alle scuole elementari.
Sono state così coinvolte 50 scuole su tutto il territorio albanese, scuole dove venivano utilizzati metodi di insegnamento tradizionali, ad esempio l'insegnamento a memoria, che limitano lo sviluppo dei bambini.
390 insegnanti sono stati formati in loco e le scuole hanno ricevuto sostegno tramite la fornitura di libri e supporti didattici.
In questo modo, 10mila studenti e 25mila bambini hanno potuto beneficiare di un'istruzione migliore e soprattutto più partecipativa.
L'attività di formazione ha interessato inoltre 117 ispettori dell?istruzione in tutto il Paese e 650 bambini dei cosiddetti "governi dei bambini", chiamati ad esercitare il proprio diritto all'espressione, partecipando direttamente alla pianificazione delle attività scolastiche.

Scheda tecnica del programma:

network: RETEQUATTRO
puntate: 6
programmazione: DAL 26 DICEMBRE 2009 OGNI SABATO IN SECONDA SERATA
realizzato da: VIDEONEWS
in collaborazione con: RETEQUATTRO e MEDIAFRIENDS
testata diretta da: CLAUDIO BRACHINO
un programma a cura di: MIMMO LOMBEZZI
produttore: ROSSANA MANDRESSI