EMERGENZA IN SUD SUDAN (GOGRIAL)

Vi scrivo da... Gogrial

Maria Rosaria, ostetrica, racconta la sua prima missione con MSF in Sud Sudan 12/02/2013

Il sogno di una vita, la mia prima missione con MSF in Sud Sudan.

Il Sud Sudan è il più giovane Stato africano, un solo anno di vita, la cui indipendenza è stata raggiunta dopo una guerra durata per decenni. Una guerra che ha lasciato segni e cicatrici. Viaggiando nel Paese non è difficile incontrare vecchi carri armati o rottami di aerei… ma soprattutto gli effetti si riscontrano nella popolazione.

A Gogrial ho vissuto per 6 mesi. Devo ammettere che bisogna adattarsi tanto: non ci sono ristoranti né pub, non ci sono negozi, c’è un mercato disordinato e colorato dove, a volte, si può trovare qualche articolo carino, dove si può bere caffè e tè e incontrare la gente del posto.

Noi “cavaja” siamo considerati ospiti speciali e c’è sempre tanta curiosità intorno a noi, soprattutto da parte dei bambini, incuriositi e al tempo stesso spaventati dalla pelle bianca. C’è il nostro compound, all’interno del quale si trovano l’ospedale, i tukul, i nostri alloggi, il mosquito bar, punto di ritrovo dopo giornate intense di lavoro, la nostra cucina, in cui tutti noi ci siamo ritrovati, innumerevoli volte, per preparare leccornie da diverse parti del mondo, con i pochi ingredienti a disposizione e tanta immaginazione.

E il team, un team affiatato e in sintonia, sempre unito, anche nei momenti difficili. Una forza speciale ci ha unito e ha reso la mia prima esperienza con MSF ancora più unica e indimenticabile.

Le protagoniste della mia missione però sono le donne. Io, ostetrica, 27 anni, donna tra e con le donne, in un Paese in cui la mortalità materna è tra le più alte al mondo, mi sono trovata ad affrontare una realtà aspra e a volte difficile da capire e ho vissuto esperienze al limite di me stessa e del tutto nuove, che mi hanno permesso di imparare moltissimo sia in campo medico sia in campo personale e relazionale, soprattutto quando bisogna confrontarsi con culture tanto diverse dalla nostra.

I Dinka sono fieri, orgogliosi, forti, a volte resistenti a novità e cambiamenti, soprattutto se proposti da una donna in una società patriarcale.

A Gogrial le donne partoriscono prevalentemente a casa. Il parto rappresenta il momento più critico e tante donne muoiono proprio nel momento di dare alla luce il proprio bambino. Nel 2012, è inaccettabile morire durante il parto o per cause a esso legate. Nessuna donna dovrebbe spirare nel momento più intenso, unico e irripetibile della sua vita, nel momento in cui si mette al mondo una nuova vita.

Per questo, MSF promuove il parto sicuro e garantisce cure gratuite in un posto dove c’è un’estrema carenza di cure mediche. MSF lavora a Gogrial dal 2009 e, a partire dal 2012, fino al mese di ottobre, ha effettuato: 8947 visite prenatali, 510 visite postnatali, 420 nuove nascite, è presente una sala operatoria. Ha aperto una clinica per partorienti che può ospitare 10 mamme in attesa.

L’ambulanza trasporta quotidianamente donne in gravidanza, soprattutto in travaglio con complicazioni. Ma adesso lascio spazio a loro, le mie pazienti:

Nyanut arriva una mattina alle 8.30. Ha partorito il primo bambino, il secondo non vuole uscire. I suoi piedini sono fuori, non c’è più battito. In più si sospetta una rottura d’utero. Di corsa in sala operatoria. Nyanut perde tanto sangue e per 2 giorni abbiamo temuto il peggio. Le sue condizioni sono critiche, aggravate da una setticemia puerperale. Ma la sua voglia di vivere è più forte. Per lei il cerchio della vita non si è chiuso e, inaspettatamente, sento la sua voce chiamare il mio nome, mi dirigo verso di lei e lei mi sorride. Vuole allattare il suo bimbo. Mi stringe la mano e mi chiama sorella. Poi abbraccia e allatta il suo bambino.

Aluel ha soltanto 16 anni. Mi chiede "apiu", acqua. Indossa un abito blu elettrico, sguardo basso e spento. Le do un bicchiere d’acqua e capisco che vuole ripulirsi da qualcosa. Dopo una doccia sembra sentirsi "purificata", abbozza un timido sorriso. Inizia il suo racconto… stava giocando con altri bambini mentre il ritmo dei tamburi accompagnava danze e canti, quando è stata aggredita e violentata da 4 uomini. Soltanto 16 anni. Si sentiva ancora una bambina. Voleva giocare, danzare, cantare. Invece, ha avuto il coraggio di denunciare i suoi aggressori. Loro sono in prigione. Lei dovrà elaborare la violenza subita. Mi ha salutata con un sorriso dolcissimo.

Una giovane mamma giunge disperata in ospedale. Ha in braccio il suo cucciolo di otto giorni. Non riesce ad allattarlo, il suo corpo è rigidissimo e ha un’espressione sofferente. Insieme a Rachel, medico, lo visitiamo e la diagnosi è terribile: tetano neonatale. Una malattia molto diffusa che viene veicolata da strumenti taglienti contaminati dalla tossina utilizzati per recidere il cordone dopo la nascita. Il cucciolo, soltanto 3 kg, ha mostrato di avere una forza enorme, è stato dimesso ed è tornato a casa tra le braccia amorevoli della sua mamma.

I racconti riportati sono soltanto alcune delle esperienze vissute in missione… ce ne sarebbero tante altre da raccontare, una per ogni donna incontrata. Ogni donna rappresenta un universo e ognuna di loro racchiude una storia unica.

Non so dove andrò e chi incontrerò lungo il mio cammino, il mio augurio per tutte le donne che ho incrociato e che incrocerò è che siano sempre più consapevoli di se stesse, della loro unicità, della loro forza esteriore e interiore, dell’amore che racchiudono e che cercano, anche da parte di noi operatori umanitari…il senso più profondo della mia missione e della mia scelta di partire con MSF è proprio questo: essere presente ed essere d’aiuto laddove le donne non hanno diritti, laddove non hanno possibilità di emergere, laddove vengono emarginate, laddove vengono abusate, laddove c’è bisogno d’amore.

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