IL RACCONTO DI ANNA E FABIO STOJAN

Progetto visitato: "Sostenere la nascita in Ecuador"

di Fabio Stojan

Mio padre arrivò a Milano nel 1930. Dei suoi pochi racconti, mi rimaneva in mente sempre la stessa cosa: si era sentito subito a casa, perchè a Milano, diceva lui, la gente era molto più interessata a quello che facevi piuttosto che da dove venivi. Tant'è che si sentiva e senz'altro era, milanesissimo. Mi sono sempre chiesto che cosa rimanesse oggi dello spirito aperto e pragmatico che aveva affascinato mio padre.

Ora facciamo un bel salto. Un salto di sei fusi e 45 paralleli. Ci troviamo in Ecuador, esattamente sulla linea dell'equatore e, per caso, anche sulla linea di confine con la Colombia. Un'area di selva, fiumi, lagune e mangrovie. E anche di povertà, immigrazione clandestina, contrabbando di droga, bande paramilitari, campi minati, malaria, delinquenza e corruzione.

La descrizione che ne ho dato, non è farina del mio sacco: è di un amico equadoriano. Quando gli ho cominicato che andavamo a San Lorenzo, la prima cosa che ha detto è stata: ma è pericoloso!

La sua risposta ci ha un po' preoccupati, così abbiamo provato a chiedere altre opinioni. Considerando che gli equadoriani sono molto riservati, abbiamo avuto solo sguardi dubbiosi e vaghi “ci dovete proprio andare?”.

Si, ci dovevamo andare, e ci siamo andati.

Ci siamo andati scortati. Non da nerborute guardie del corpo ma da un padre comboniano, in funzione di autista, e da due signore molto milanesi (e una delle due mi perdonerà di averla inserita in questo sistema di riferimento senza aver avuto la sua approvazione).

La descrizione della “scorta” è essenziale nello sviluppo della storia.

Il viaggio si svolge senza problemi. Da Otavalo, dove ci eravamo dati appuntamento, risaliamo verso il confine Colombiano per una cinquantina di km. Fa freddo e pioviggina. Poi giriamo verso ovest. La strada scende rapidamente di quota, nel giro di mezz'ora la temperatura sale di una decina di gradi e smette di piovere. Viaggiamo su una strada perfetta, tagliata nella jungla, fra colline alte e dirupate da cui cadono diverse cascate. Bello, caldo, vuoto. Sulla strada non c'è praticamente nessuno. Così, quando arriviamo al posto di blocco, i soldati hanno tutto il tempo per identificarci e farci perdere un bel po' di tempo.

E così arriviamo a San Lorenzo. É quanto di più vicino a una città del Far West io abbia visto, e non mi mancano lunghe esperienze paesi “marginali”. Sembra di essere in Africa, ma la sensazione è legata al colore della popolazione. Potrebbe essere un pezzo di Pakistan, o di Tajikstan. In alcuni particolari ricorda la Siria di una volta... Comunque fa molto caldo, c'è immondizia dappertutto e impera un boom edilizio che non riece a finire alcun edificio. Tutto è ancora in costruzione o già in declino. C'è un solo distributore, che vende benzina pessima e ha sempre una coda chilometrica in attesa. Alle informazioni dell'amico ecuadoriano possiamo aggiungere qualche notizia “diretta”. Ai narcos, alle bande paramilitari, ai profughi colombiani eccetera, si accodano miseria, disgregazione sociale, malaria, problemi di salute dovuti a alimentazione squilibrata, sporcizia, distruzione del territorio da parte di compagnie, spesso illegali, che si dedicano alla deforestazione, creazione di piantagioni di palma “americana”, via via devastate da un'infestante, inquinamento da arsenico e mercurio provocato da imprese minerarie, in gran parte dedite alla ricerca dell'oro.

Non ostante tutto, la gente sembra affabile e simpatica. Irene e Maria sono addirittura idolatrate, ma questo non ha impedito che Irene sia stata vittima di un tentativo di rapina proprio davanti all'ospedale in cui si prodigava. Farei volentieri un giretto in città. Posso farlo, ma solo accompagnato. Va bene. Mi allontano per scattare qualche foto. Meglio di no. Andiamo a fare due passi sul molo? No. E' quasi deserto e potrebbero approfittarne per buttarmi di sotto. La precauzione mi pare un po' eccessiva ma non posso sottrarmi. Eppoi sono “tignoso”: mi seccherebbe moltissimo dover ammettere che avevano ragione, quasi più che essere rapinato.

L'unica frequentazione che ci possiamo permettere e quella delle “coloradillas” (Irene mi perdonerà se non l'ho scritto giusto). Sono dei piccoli insetti, vaccinati contro qualunque repellente e particolarmente golosi di ME. In capo a qualche ora ho caviglie e braccia piene di pustole dove gli insetti avrebbero depositato le loro uova. La cosa mi preoccupa un po', ma Irene sostiene che “poi se ne vanno”. L'unico disagio è che prudono per una settimana e dire che prudono, è un eufemismo.

Ora che ci siamo arrivati, cominciamo con la descrizione del problema di cui si occupa questo progetto.

Le aree che delimitano il confine equadoriano con la Colombia appartengono ai distretti di S. Lorenzo, Borbon e Esmeraldas. Sono interamente abitate da afroamericani, la leggenda vuole eredi dei naufraghi di una nave schiavista finita su queste coste.

San Lorenzo, dei tre distretti, è quello più a nord e si distende lungo il confine. Conta la capitale e circa 400 villaggi sparsi fra foresta, fiumi e isole di mangrovie. Negli anni '60, i padri Comboniani aprirono un piccolo ospedale che si limitava a fornire le prestazioni minime indispensabili. Già molto rispetto a prima. 14 anni fa, in quest'area è arrivata Irene, giovane ostetrica che, oltre a prodigarsi nella sua professione, ha iniziato un metodico lavoro di analisi e sostegno. Ecco cosa ne è venuto fuori:

A) la regione è una delle aree più povere del mondo, paragonabile alle aree di miseria dell'India o del Brasile.

B) il 60% della popolazione non ha accesso ai servizi essenziali (acqua, elettricità, servizi igienici)

C) i dati di mortalità materno-perinatale (morte del bimbo o della madre per problemi legati al parto) sono: per le madri 600 su 100.000 (media dell'Equador 159 su 100.000, media paesi occidentali 17 su 100.000), per il bimbo 70 su 1000, con una media dei paesi occidentali di 4 su 1000 (non c'è un dato per l'Equador)

D) mortalità infantile: 80 su 1000, con una media equadoriana di 39 su 100 e una media “occidentale” di 4,4 su 1000.

Quali sono i fattori che determinano questo disastro statistico? Moltissimi, ma mi hanno colpito questi: l'area di S.Lorenzo ha circa 45.000 abitanti. La maggior parte è sparsa nei 400 villaggi, raggiungibili solo lungo scassatissime strade sterrate (dove si avventurano solo delle indescrivili corriere che chiamano rancheras) o, peggio, in canoa o su piccole barche a motore che risalgono i fiumi o si avventurano nel labirinto di canali fra le isole di mangrovie. Considerate che nei villaggi che abbiamo visitato non abbiamo MAI VISTO UN VEICOLO, nemmeno una motoretta, perciò gli spostamenti devono avvenire a cavallo, a piedi, per mezzo della ranchera o in barca. La ranchera parte all'alba e torna la sera. I villaggi sono serviti da una rete di 13 centri di salute, che forniscono l'assistenza “essenziale” a distanza “accettabile”.

Irene ha intrapreso un lavoro colossale, cercando di inserirsi nella cultura locale e, contemporaneamente, portando tutti miglioramenti che la sua esperienza le permette di fornire. Tanto per cominciare è riuscita a conquistare la fiducia e la collaborazione delle “parteras”, le levatrici locali. Studia le loro tecniche di assistenza al parto e fa in modo che sia possibile unirle a un'analisi della situazione della partoriente e del nascituro che consenta alla stesse parteras di prevedere quali saranno i parti “problematici”. In questo modo, è possibile, per le partorienti a rischio, raggiungere l'ospedale prima del momento critico e creare uno stato di allerta preventivo.

Uno dei risultati di cui Irene va più fiera è la “sala parto interculturale”, dove è possibile partorire secondo le usanze locali (incluse le differenti abitudini fra fra maggioranza afroamericana e india) compresa la presenza di tappeti fatti con le fibre beneauguranti, ventagli, grasso di “zorra” e tutto quello che mette in salvo madre e bimbo dal malocchio, dall'invidia degli spiriti e chessò io. Di certo, il risultato è che le partorienti affrontano l'evento con maggiore rilassatezza, certe di non essere espropriate del proprio corpo e della propria cultura. Insomma: entrano nel “loro” centro di salute o ospedale.

Bene. Irene si dedica a questo lavoro, alternando i periodi di attività in Ecuador a periodi di lavoro in Italia, dove conosce Maria, ginecologa ostetrica alla clinica Mangiagalli di Milano. Avendo incontrato entrambe, immagino come Irene abbia saputo accendere Maria e come Maria, avendo preso fuoco, abbia a sua volta, incendiato tutta la città per far decollare l'idea. L'idea di costruire una nuova maternità nell'ospedale Comboniano “Divina Providencia” su standard di eccellenza, attrezzato del necessario per affrontare tutte le necessità locali e dotato di personale preparato. Tutto il progetto si regge sulla capacità delle due signore di coinvolgere strutture e autorità italiane ed Ecuadoriane su un piano di cooperazione e un certo numero di donatori in quota minoritaria, fondando l'AmLife (Associazione Mangiagalli Life). Su questo punto può essere utile indicare che lo stesso aiuto di Mediafriends ha avuto una funzione “mirata”ed è stato ottenuto tramite l'ASM cha ha preso a cuore il progetto AmLife e si è occupata di presentarlo, appunto, a Mediafriends.

Le signore, diversissime ma milanesissime, hanno idee molto chiare: conoscono il loro mestiere e sanno perfettamente cosa serve per risolvere il problema, ma anche loro non si aspettavano tutte le difficoltà che un'operazione a livello internazionale e in un'area così difficile, comportava.

Da una parte costruire una “gemellaggio” efficiente fra l'ente in cui lavorano e le autorità ecuadoriane (e quelle religiose, che mantengono la proprietà dell'ospedale). Dall'altra, maestranze locali non sono proprio all'avanguardia e guerre di potere che si sono scatenate su un'investimento di questa entità. Scogli e bassifondi che hanno rischiato di affondare la nave a ogni miglio. Ci sono anche stati giochi politici che hanno creato e creano ogni genere di difficoltà.

Ma le due signore hanno tenuto duro e la nuova maternità è lì, tutta da vedere. Bella, pulita e, soprattutto, molto ben tenuta. Questo è l'aspetto che ci ha più colpiti: c'è spirito di corpo. Chi ci lavora ne è fiero e la tratta con tutta la cura che si dedica a qualcosa “che è tuo”. 10 camere a 2 letti (ciascuna con bagno), tre sale parto, una sala travaglio, terapia intensiva neonatale. Il progetto, le attrezzature, perfino la copertura dei pavimenti e delle pareti è arrivata dall'Italia.

Perfetto, adeguato alle necessità sia in termini qualitativi che quantitativi.

Naturalmente però, al nostro arrivo c'era già una lista di casi difficili in attesa che Irene e Maria se ne occupassero. Mi sono domandato se le madri a rischio riescano a rimandare il parto fino all'arrivo delle nostre amiche. Sembrerebbe di si.

E' molto carino da parte loro ma, nasconde un 'altro problema: quello della disponibilità di personale con alto grado di formazione.

Fino a qualche tempo fa, era improbabile che un medico accettasse di venire a lavorare a San Lorenzo. Brutta zona, poca carriera e molti pericoli, compreso quello di essere ammazzato perchè un parto va male.

Perciò, più o meno inevitabilmente, ci finivano spesso medici di poca esperienza o scarsa capacità, che se ne andavano appena trovavano un posto meno pericoloso o scomodo. Un bel problema.

Le signore non si sono fermate neppure davanti a questo. Hanno mobilitato chiunque (ambasciata, enti pubblici, dirigenti di multinazionali, clero) e hanno risalito la scala gerarchica fino ad arrivare alla “ministra” della salute, che si è rivelata un'ottima partner. Dalla parte italiana, riescono a ottenere che alcuni dei migliori specialisti passino dei periodi a San Lorenzo per affiancare i medici locali, migliorando la loro formazione.

Qui l'ho sintetizzato in due righe, ma non è ne così veloce ne così semplice. Ancora oggi stanno lavorando per trovare un meccanismo di formazione stabile, accettabile sia dal governo Ecuadoriano che dagli enti italiani.

Perchè vogliono che si tratti di cooperazione: solo così il progetto ha davvero la possibilità di diventare autosufficiente.

I problemi comunque non mancano: la modernizzazione messa in atto dal governo ecuadoriano complica alcune procedure, perciò mancavano sangue e anti ipertensivi. Alcuni casi, potenzialmente trattabili “in casa” sono rimandati all'ospedale di Ybarra, a quattro ore di ambulanza. Ma è tutto risolvibile se il piano di formazione decolla. La giovanissima direttrice dell'ospedale ne è entusiasta.

Manca ancora qualche attrezzatura che migliorerebbe l'efficienza e le potenzialità dell'ospedale, e rimane da realizzare il sogno finale, quello che risolverebbe anche il problema della inaccessibilità geografica: la casa della maternità. Uno spazio di accoglienza in cui dovrebbero trovare alloggio le madri “a rischio” nell'ultimo periodo della gravidanza.

Il vero motivo della presenza di Irene e Maria è che non si acconterebbero di nulla di meno della perfezione. Hanno fatto coincidere la nostra visita con la loro, il cui obiettivo è controllare che tutto funzioni (un po' come noi) ma, soprattutto, per sciogliere quanche nodo. Questo impegno prevede incontri con il vescovo (che ha piani sull'ospedale piuttosto divergenti da quelli governativi) con la “ministra” della sanità (che ha piani sull'ospedale piuttosto divergenti da quelli del vescovo) per risolvere, dal punto di vista normativo e finaziario, il problema dell'affiancamento formativo di medici italiani a quelli locali (che hanno esigenze piuttosto divergenti) e per incontrare l'ambasciatore italiano, sia come amico che come “facilitatore”. Irene ha anche una grande notizia da dare: lavorerà qui per altri tre anni, e potrà dedicare una parte del suo tempo all'Ospedale di San Lorenzo: notizia che suscita sincero entusiasmo in popolazione, vescovo, ministra e ambasciatore.

Essendo presenti come emissari di un “sostenitore”, ci lasciamo coinvolgere. Siamo assolutamente convinti che l'aspetto “politico” sia quello che permette alle buone intenzioni di diventare buone azioni, ma che sia troppo spesso tenuto nascosto. Traduco: è sbagliato pensare che un progetto possa decollare senza aver trovato il giusto compromesso fra le parti e abbiamo finalmente l'occasione di essere presenti nelle discussioni e capire come si arriva al “compromesso vincente”.

In attesa di questi incontri, Irene e Maria passano le notti (che seguono a giornate piuttosto dure in cui fanno visite mediche, affrontano i casi difficili e qualche “cesareo”) a fare e rifare relazioni, presentazioni e bozze di accordo.

Gli incontri con vescovo, sindaco, direttrice dell'ospedale, responsabile del centro di salute governativo (appena aperto a San Lorenzo, ma ancora privo delle attrezzature e in evidente “concorrenza” con il Divina Providencia) premettono di capire le varie esigenze e ipotizzare un compromesso che, con l'aiuto dell'ambasciatore, potrà essere proposto alla giovane ministra della salute.

Così, concludiamo la visita sul campo (che ha incluso villaggi nella foresta, centri di salute isolati, isole di mangrovie eccetera) e ci avviamo verso Quito.

Si torna in montagna: freddo e pioggia. Arrivati in capitale ci rimane solo il tempo per fare un giretto nella parte coloniale: non più di due ore, poi siamo a pranzo all'ambasciata Italiana. Noi superiamo il problema che ci attanaglia tutte le volte che siamo coinvolti in qualche incontro ufficiale: abbiamo solo tre cose da metterci: pantaloni Khaki sporchi, felpa termica che fa un brutto effetto “batman”, scarpe sportive sgargianti. Sulla mancanza di parrucchiere, stendiamo un velo pietoso. L'ambasciatore non si fa problemi. Speriamo che non se ne farà la ministra. Il pranzo va molto bene: le signore sono ormai delle amiche, anche se Irene rimane sopresa di scoprire (nello stesso momento in cui lo scopriamo noi) di essere stata nominata Cavaliere dell'Ordine della Stella d'Italia.

Non sono portato a credere al valore delle onorificenze ma, questo caso me ne dimostra il valore. Ammetto di essere stato fiero di essere seduto al suo fianco. Per il resto del pranzo si parla del problema che ci sta di fronte. Sono presenti anche due giovanissime funzinarie governative che dividono equamente il loro entusiasmo fra la discussione, la sede (bellissima) e il Barolo. Il pomeriggio passa mentre Maria e Irene danno l'ennesima limata alla presentazione per la ministra.

Putroppo, alla la perfezione del nostro lavoro manca la collaborazione dell'amatissimo, anche se discusso, presidente Correa. Il governo viene convocato d'urgenza e l'incontro con la ministra viene prorogato troppo in là per le nostre esigenze: abbiamo già il secondo progetto che bussa alla porta. Dobbiamo essere a Lima in meno di una settimana. Perciò ci scusiamo e ce ne andiamo. Del resto, Irene e Maria hanno fatto tutto da sole, non hanno certo bisogno di noi.

Perciò ce ne andiamo contenti. Per San Lorenzo e anche per Milano. Sarà contento anche mio padre. E dovete essere contenti anche voi tutti: è raro vedere il denaro che avete donato e che Mediafriends ha gestito, così ben investito.