PRIMO DISPACCIO DAL PAKISTAN

Eccoci qua.

Nel senso che siamo di nuovo qui a raccontarvi, dopo un bel pezzo, le nostre avventure.

Se invece vogliamo riferirci ad un luogo particolare, il “qua” di oggi è molto diverso dal “qua” del nostro ultimo articolo. Verrebbe da definirlo un “là”, se non fosse che è esattamente il luogo in cui ci troviamo ora.

Siamo a Islamabad. Mica male come spostamento.

Spero che vorrete perdonare l’introduzione così arzigogolata e forse incomprensibile. Ma stiamo uscendo ora da uno degli scogli più ostici del viaggio: la spedizione della moto da Tehran a Islamabad.

E dopo 30 ore di peregrinazioni in uffici affollati e polverosi, a contatto con burocrazie occhiute e sospettose, qualche problema di ordine mentale può colpire chiunque. Perciò, dopo avervi dato la buona notizia e dichiarato il mio stato mentale dopo l’esperienza, faccio un po’ di ordine nella storia.

Dopo il nostro ultimo articolo, tutto si è svolto come previsto: stress, nervosismo, difficoltà e imprevisti vari. Poi, dopo che pareva non ce l’avremmo mai fatta, le cose si sono inspiegabilmente messe “quasi” a posto. Così abbiamo deciso di approfittare del momento favorevole per tagliare gli ormeggi, con qualche giorno di anticipo rispetto alla data prefissata.

Scelta quasi obbligata perché, ad una verifica finale, ci siamo accorti che i tempi concessi dai visti di alcuni paesi erano più “stretti” del previsto e sarebbe bastato il minimo intoppo per far saltare tutto.

Siamo partiti il 10 agosto. Prima della partenza mi prende sempre un po’ di paura. Sarò in grado di gestire le difficoltà? Saremo fortunati abbastanza? Ci adatteremo ad una vita così assurdamente diversa da quella di tutti i giorni? Con il passare dei giorni le cose migliorano. Grazie anche al fatto che viaggiare via terra consente di procedere lentamente e di abituarsi alle differenze ed alle difficoltà.

Il 10 agosto abbiamo lasciato casa, L’11 abbiamo preso il traghetto per la Grecia. Il 14 agosto abbiamo raggiunto Istanbul, dove ci siamo fermati due giorni: volevo festeggiare il 40° anniversario della mia prima visita di questa città, al volante di un maggiolino verdolino.

Tutto tranquillo e senza difficoltà. La nostra permanenza a Istanbul coincideva con la fine del Ramandan e l’inizio delle susseguenti festività del Bayram. Una splendida esperienza. Per due serate siamo stati nel parco che circonda Sultanahmet ad attendere il tramonto insieme a migliaia di famiglie, con il loro bel picnic pronto, in attesa delle preghiera del tramonto per poter bere e mangiare. Con l’inizio del Bayram, ci siamo mossi verso est, insieme a 12.000.000 di abitanti di Istambul: una partenza poco intelligente. Così, per evitare un po’ di traffico abbiamo deciso di percorrere una strada più a nord, passando per Safranbolu e Amasya, due cittadine ottomane molto piacevoli (Safranbolu è patrimonio dell’umanità difeso dall’UNESCO).

Poi siamo tornati sulla E80, che spacca la Turchia in due da ovest a est a Sivas, e da qui, viaggiando sempre attorno ai 2000 metri ci siamo avviati verso Dogubayazit, a 34 km dalla frontiera Iraniana.

Così abbiamo avuto modo di cominciare ad immergerci nell’atmosfera del viaggio con una certa calma e di cominciare a fare un planning, ancora piuttosto vago, dei tempi delle nostre visite ai progetti sostenuti da Mediafriends.

E qui sono cominciati i dubbi veri: saremo in grado di raggiungerli tutti? Che difficoltà incontreremo? E, soprattutto: saremo in grado di reggere il loro impatto di trasferirvelo? Difficile rispondere. Ci proveremo, ma non abbiamo idea del risultato. Soprattutto su di noi.

Ho sempre pensato che i progetti di charity andrebbero visti PRIMA dal lato del problema, e solo DOPO da quello della soluzione. E’ un po’ come girare il binocolo nella direzione giusta, dopo averlo utilizzato al contrario per tutta la vita: sorprendente. Anzi: devastante.

Con questi pensieri per la testa, abbiamo passato la frontiera Iraniana. Nessuna difficoltà, anzi, questa volta la cosa è stata ancora più veloce e confortevole del solito. Abbiamo solo avuto qualche problema con il cambio della valuta, vista la differenza fra quello ufficiale e quello in “nero” che è enormemente salita dopo l’imposizione di una specie di blocco commerciale da parte della comunità internazionale.

Noi ci abbiamo perso qualche dollaro, ma queste difficoltà colpiscono molto di più la popolazione Iraniana. Gli stati più bassi soffrono e si ricompattano con il governo. Agli strati più colti non resta altro che fare la fila fuori dall’ambasciata tedesca o svedese per richiedere il visto di espatrio. E questo non fa altro che impoverire ancora di più il paese che cede la sua parte migliore, dopo averla formata, con un livello di scolarizzazione molto selettivo e di altissimo livello.

Dal momento dell’ingresso in Iran abbiamo proceduto a tappe forzate. Primo giorno: 400 km da Dogubayazit a Tabriz (appena colpita da un terremoto che ha fatto danni solo nella zone circostanti), incluse dogana, cambio valuta, attraversamento di Tabriz in piena ora di punta (fate quest’esperienza almeno una volta nella vita, meglio se alla guida di un carro armato), visita al Bazar, conversazione con 2 o 300 persone curiose. La mattina successiva alle 6 di nuovo in viaggio: 700 km verso Tehran. In coincidenza con la fine delle festività del Bayram. Perciò; usciti da Istanbul con 12 milioni di turchi, entrati a Tehran con 20 milioni di Iraniani. Temperatura attorno ai 38 gradi. Il trasferimento è piuttosto noioso, ma è stato allietato dal saluto di migliaia di famiglie in viaggio. Ogni sosta si è conclusa con: scambio di fotografie, di indirizzi, inviti a cena o a merenda. La maggioranza degli incontri si concludono con l’invito a chiamarli al cellulare in caso di difficoltà di qualunque tipo. E credo sperino in qualche difficoltà, per poterti ospitare a casa e presentarti anche ai parenti. In generale, se non fosse per la scarsa attitudine a uno stile di guida appena accettabile, gli Iraniani sono sempre stati un’esperienza che riempie il cuore di fiducia nell’umanità.

Fino a quando non fate i conti con gli uffici della dogana della stazione cargo dell’aeroporto Imam Khomeini.

Appena arrivati a Tehran, ci siamo impegnati nella ristrutturazione dei bagagli, in modo da portare con noi solo lo stretto indispensabile e infilare tutto il resto nella cassa con la moto. La mattina successiva, sabato (cioè il locale lunedì), sveglia alle 5,30, arrivo all’aeroporto alle 7,30, immediato inizio delle pratiche doganali e di carico. Riassumo la giornata dando solo alcuni “highlight”: permanenza all’aeroporto ore 9. Uffici visitati: circa 40, Airwaybill preparati e poi cestinati: 5. Date di volo schedulate e poi modificate: 3. Arrivo del falegname con la cassa alle ore 11. Smontaggio e imballaggio della moto effettuato rigorosamente in mezzo alla strada, al sole, con i soliti 38 gradi. Folla presente all’evento: mediamente 25 persone. Cassa chiusa e riaperta due volte, causa intervento dell’ispettore della compagnia cargo che ha preteso la disinstallazione della batteria. Carico della cassa (360 kg) su un triciclo (tipo Apecar) a braccia, con conseguente impennata del triciclo e possibile suo rovesciamento. Avventuroso trasporto della stessa al magazzino aeroportuale.

Tempo impiegato per smontaggio e imballaggio: ore 3. Abbandono dell’aeroporto alle ore 16,30, sul taxi più scassato che si riuscisse a trovare, con l’aggravante che si spegneva ogni volta che si fermava e doveva farsi spingere dai passanti per ripartire. Perciò non si è quasi mai fermato, anche quando il buonsenso lo avrebbe consigliato (per esempio ai semafori rossi). Ritorno alla aeroporto il giorno successivo per altre 6 ore (dalle 8,30 alle 14,30) altri 2 airwaybill compilati, solo uno stracciato. Visita in altri 30 uffici, molti dei quali già visitati più volte il giorno precedente. Alle 14 ho finalmente in mano il carnet vistato “in uscita” ma non ho ancora capito quando partirà la moto. Anna nel frattempo scopre gli effetti collaterali del summit dei paesi non allineati: nessun volo disponibile per circa una settimana. Conseguente peregrinazione in numerose agenzie di viaggio coronata da successo: due posti separati, ma sullo stesso volo per Abu Dhabi e poi per Islamabad. Arrivo alle 2,30 del mattino del 30 agosto. Abbiamo quasi due giorni liberi. Che si rivelano assai meno liberi del previsto: infinite email e telefonate ed una visita all’ufficio di città del corriere per stracciare l’ennesima AWB sostituita con una nuova e definitiva versione. In tutto questo, una buonissima notizia: la moto partirà il 28 e arriverà a Islamabad in contemporanea al nostro arrivo. Il volo per Islamabad è regolare e confortevole, soprattutto per me, che pur avendo un biglietto a tariffa ridotta ho, misteriosamente, il posto in business class.

All’arrivo ci viene a prendere il nostro gentilissimo amico Sadruddin. Due ore di sonno, incontro con l’agente doganale pakistano, giornata passata all’aeroporto per le pratiche doganali. Alle sei di sera il carnet è finalmente timbrato, ma non ci viene consegnato. Chiediamo di trasportare la cassa in un posto tranquillo per poterla rimettere in funzione in un ambiente riservato. Ci incontriamo la mattina successiva: un’ora di viaggio verso il magazzino del corriere, apertura della cassa, rimontaggio della moto, controlli vari e poi la guido fino all’albergo. Come sempre, difficile approccio con lo stile di guida locale, aggravato dalla guida a sinistra.

Pomeriggio passato in attesa del carnet debitamente timbrato. Arrivo del carnet, ma c’è ancora un documento mancante. Incontro con un gruppo di motociclisti italiani in arrivo dal Khunjarab, di cui uno con la moto distrutta in un incidente. Scopriamo di conoscerci senza esseri mai visti: si fraternizza.

E rieccoci qua, appunto.

Mentre scrivo, Anna sta contattando Manzur, il nostro uomo all’Istituto per bambini mentalmente e fisicamente disabili della città di Nowshera, implementato da Intersos.

Lo raggiungeremo domani, forse a Peshawar.

Qui fa caldo, sono tutti molto gentili e c’è quell’indefinibile odore di muffa che ti fa sentire subito “in India” anzi, per non urtare la sensibilità pakistana, in Pakistan.

A questo punto, un doveroso e sincero ringraziamento a tutti coloro che sono stati coinvolti in questo trasporto aereo: ad Anna che ci ha seguito dall’Italia e ai ragazzi di Tehran e di Islamabad, per la gentilezza e l’incredibile pazienza che hanno saputo dimostrare. Senza di loro non ce l’avremmo mai fatta.

Bravissimi.

Ora tocca a noi.

Anna e Fabio.

1bike2people4aid. A presto.

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